Ho visto Sara due volte.
Nella fotografia scattata durante una cena del gruppo di training di sua madre Vivian con Maria Laura Vittori, Francesca De Gregorio e Sara Gentilezza e nel corso di una videolezione su Zoom durante il lockdown.
Me ne è rimasta l’immagine di un fiore aperto su un gambo alto ed inclinato.
Sorridente e malinconico il suo viso proprio come sorridente e malinconica è a volte la bellezza di un fiore che inizia a sentire la fatica del tempo.
Ho sentito di Sara nei racconti di sua madre e di suo padre, giustamente e naturalmente innamorati del suo sorriso e dei suoi silenzi, della sua stanchezza infinita e della sua voglia tenace di vivere. Di esserci, nel rapporto con chi ha avuto la fortuna di volerle bene.
Penso e ripenso a Sara, ora che non v’è più, come si pensa ad una manifestazione di qualcuno o di qualcosa che è esistito solo per celebrare la bellezza. Il petalo di un fiore, le note di una frase musicale, il breve concedersi di un paesaggio nel momento dell’alba o del tramonto. Le cose belle, fragili e felici, senza di cui la vita non avrebbe alcun senso.
Luigi Cancrini